Il vero test legato alla scelta di Marcello Pittella di fare una propria lista pro Renzi in Basilicata è quello che riguarda il grado di consenso che egli è riuscito a capitalizzare in questi tre anni presso la comunità regionale, in relazione alle politiche generali e settoriali che ha portato avanti e ai risultati che ha ottenuto. La sua scelta di andare da solo, fregandosene degli apporti che gli altri avrebbero potuto dare se chiamati a stare insieme, è proprio questa voglia di contarsi oltre l’apparato, oltre la struttura, oltre il partito, fiducioso che quanto egli ha seminato in questi tre anni venga alla fine a maturazione. Una decisione che non solo è coerente con il fatto che sotto traccia sta da tempo galvanizzando anche una platea socialista e terzista rispetto ai due grandi blocchi che in Basilicata si sono scontrati ed incontrati , ma che è coerente sopratutto con la sua idea che, uno alla volta, bisogna mandare a casa i detentori del potere in questa regione, perchè lui un salotto pieno di gente non riesce proprio a digerirlo. La voglia di sfidare tutti sui numeri c’era già alla vigilia di questa competizione interna al Pd: lui, il Governatore voleva fare due liste ( così come ha fatto Emiliano), una tutta sua e l’altra di tutti i leader lucani che appoggiano Renzi ( De Filippo, Margiotta e Antezza) . Poi c’è qualcuno, o più di qualcuno, che ha avuto paura di contarsi ed ha lavorato su Roma perché ci fosse una lista unica, e, quando Roma si è espressa in questa direzione, lui, il Governatore ha fatto esattamente quello che voleva dall’inizio: anziché concordare i nomi ne ha fatto una sola, con esponenti che non hanno magliette di partito con i numeri addosso, ma solo vicinanza politica ad un’area. E con questo schema , quello che era uscito dalla porta è rientrato dalla finestra, nel senso che se tutti si danno da fare, vincono Renzi e Pittella, se gli altri non si danno da fare, Pittella vince comunque perchè potrà dare la colpa a chi non s’è mosso. Poi , con quello che conta la Basilicata sul piano numerico, uno o due delegati in meno non faranno una grande differenza. Fin qui si capisce il ragionamento che ha dettato questo comportamento anomalo ed inusuale. Non si capisce però, ma forse come dice quel comico a Made in Sud “ è a capa mia ca nun è bbona) come può evitare il pericolo di tutti contro uno, cioè di un mondo politico organizzato per ridimensionarne le pretese o le aspettative di chi dichiara senza mezzi termini che è lui che comanda e basta. Significa che il suo obiettivo è andare a Roma, punto e basta? E che, quindi, messa al sicuro questa scelta , per tutto il resto c’è tempo di mediare, trattare, accordarsi sulle varie questioni di riassetto degli organigrammi?: il candidato presidente della regione, la squadra dei parlamentari, la segreteria del partito. Può essere. Quello che va rilevato, dal punto di vista dell’osservazione politica, è che una volta si facevano gli organigrammi, mettendo insieme le forze che quell’assetto dovevano garantire e sostenere. Adesso il più forte prende tutto: esattamente come fa Renzi a Roma. E se non riesce a prendere tutto, che succede? Una soluzione b non esiste. O tutto o niente. Ecco che succede quando non c’è un partito e il tutto si riduce a competizione tra persone. Detto questo non va minimizzato che questa mossa, se riesce, porta decisamente al completamento della più grande operazione di ridimensionamento, se non proprio rottamazione, di una classe di potere lucana, cosa che era stata annunciata dalla discesa di Pittella in campo come Presidente della regione e che fino ad ora in realtà sta mantenendo, senza neanche l’accusa di fare un distinguo tra amici ed avversari. Rocco Rosa
IL PROCONSOLE MARCELLO
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