BERNIE PERDE: PER LA SINISTRA SI CHIUDE UN CICLO

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Marco Di Geronimo

Bernie Sanders ha perso le primarie democratiche. Con la sconfitta del senatore del Vermont, si chiude un ciclo per la sinistra mondiale. Gli ultimi cinque anni dei progressisti si archiviano con una lunga serie di insuccessi elettorali: ma alle sconfitte nelle urne fa da contraltare un grande risultato ideologico, che le sinistre portano a casa dopo un durissimo lavoro.

L’attuale ciclo del mondo progressista si è aperto con l’elezione di Jeremy Corbyn a Segretario del Partito laburista inglese, avvenuta nell’estate 2015. Alla vittoria dell’ultimo dei Moicani del socialismo britannico, seguì la cavalcata di Bernie Sanders alle primarie 2016. Sappiamo tutti che nel resto dell’Occidente la sinistra ha assunto le forme più svariate: Podemos in Spagna, la grande forza elettorale del Portogallo, Mélenchon in Francia, e così via. Solo l’Italia non ha avuto una sinistra allineata a questa fase: i progetti unitari sono naufragati più volte, e si costruivano attorno ad agende e personaggi incapaci di bucare lo schermo e conquistare il cuore delle masse.

Ma dopo cinque anni possiamo francamente ammettere che il neosocialismo non ha mietuto i successi che sperava. Jeremy Corbyn è stato disarcionato dalla poltrona più alta del Labour Party. Bernie Sanders ha perso senza appello le primarie democratiche. Gli esperimenti di sinistra nei due Paesi più importanti dell’Eurozona, Francia e Germania, hanno esaurito la propria spinta. Soltanto in Spagna e Portogallo si è realizzata un’alternativa laburista (anche se, perlomeno a Lisbona, al prezzo di azzerare gli investimenti pubblici).

La grande sconfitta si consuma perché il centrosinistra occidentale è ancora aggrappato alle logiche liberali. Non è semplice convertire orde di dirigenti (e militanti) all’alternativa socialista. Non è semplice costruire quel grande partito che in tante parti d’Europa è esistito e ha dettato legge per decenni. L’affermazione di politiche socialdemocratiche passerà, forse, dalla risposta alla crisi che il coronavirus porterà con sé. Ma ormai si può dire che la strategia dei neosocialisti è sbagliata e bisogna ripensarla nelle sue profondità.

Non possiamo più aspettare che sia il mondo a cambiare per noi: non possiamo più rimanere fermi a guardare. I consensi che dovevano arrivare magicamente non sono mai arrivati. Le campagne di Corbyn e Sanders insegnano una lezione essenziale: i programmi sono popolari, ma gli esecutori non convincono. L’elettorato concorda con le ricette interventiste ma non ha fiducia in chi crede di poterle realizzare.

Il grande errore del fronte progressista degli ultimi anni è stato credere al mito populista, e cioè alla deriva liquida delle urne. Certo, è sempre possibile che grandi cambiamenti nello scenario politico si realizzino senza dover montare una larga e capillare organizzazione dei lavoratori su tutto il territorio nazionale. I risultati del M5s insegnano che dalle urne può uscire qualunque risultato. Ma è altrettanto chiaro che se il consenso è liquido, come arriva può anche andarsene. Invece i nostri programmi hanno bisogno di un ‘esercito’ permanente, che lotti giorno per giorno nella società ed eserciti il suo peso politico nelle dinamiche socioeconomiche.

La stagione socialdemocratica dei trent’anni gloriosi (1945-1975) fu possibile grande alla costante mobilitazione dei sindacati, che a un certo punto fu percepita addirittura come insufficiente e sorpassata a sinistra dal movimento del Sessantanove. Oggi la sinistra non può illudersi di portare a casa quei risultati senza un’analoga ramificazione all’interno della società.

Se la strategia dovrà essere il ritorno ai corpi solidi (intermedi), la tattica nel breve periodo non può non coinvolgere anche un’alleanza coi liberali. Però non stiamo parlando di cartelli elettorali e di coalizioni coi renziani. Qui si tratta di immaginare un nuovo compromesso storico, stavolta vincente e percorribile, nel quale sia la sinistra a obbligare il centro a voltarsi e non viceversa. Fuor di metafora: non compromessi con Marattin, ma ragionamenti con Joe Biden.

L’insufficienza delle politiche neoliberiste e ordoliberiste è emersa senza timor di smentita al di là e al di qua dell’Atlantico (e della Manica). Il liberalismo di destra è fallito: ci tocca far da ostetrici al liberalismo di sinistra. Già in passato c’è chi ha teorizzato limitazioni positive alle libertà individuali nel campo del centro politico ed economico. L’unica strada che sembra percorribile è la rinascita di un nuovo indirizzo socialdemocratico, in cui centro e sinistra trovino un equilibrio per portare avanti le istanze di giustizia sociale.

Non c’è bisogno di sporcarsi le mani interloquendo con i personaggi inquietanti che popolano il centro di oggi. Quelle sono classi dirigenti destinate alla rottamazione della Storia, che arriva, fredda e implacabile, con più forza ed efficacia di qualsiasi primaria truccata. Questa nuova formula politica nascerà con uomini diversi rispetto a quelli che hanno portato al fallimento il centro di oggi. Italia Viva sarà presto un osso di seppia del lontano passato: non ragioniam di lor

Ciò che davvero conta è che il Partito socialista europeo nasca davvero, sappia impersonare una casa in cui sia possibile ed efficace una convivenza tra liberalisti sociali e socialisti democratici, a sua volta pronta a tradurre in realtà politiche davvero socialdemocratiche e interventiste. Solo così sarà possibile cambiare il senso comune e contaminare fruttuosamente centro e sinistra radicale. Ma una grande casa dei progressisti ha senso soltanto se ha una visione di critica e correzione del mercato. Se il nuovo centrosinistra occidentale, anziché nascere attorno agli ideali di giustizia sociale, preferirà un veltroniano volemose bene (se anziché parlare di lotta alla società liquida preferirà la lotta per la società aperta), allora prepariamoci a un nuovo, disastroso fallimento.

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Sull' Autore

Direi di scrivere soltanto questo: "Potentino, classe 1997. Mi sono laureato in giurisprudenza a Pisa".

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