ANTIMO DI GERONIMO
Una pena peggiore della morte. È la reclusione:la sanzione che il codice penale commina per punire i reati. Vale a dire, comportamenti illeciti considerati antisociali e di tale gravità da giustificare la restrizione della libertà personale. Lo diceva Tommaso Buscetta, il boss mafioso che in carcere c’era stato 8 anni. E la pensano allo stesso modo i detenuti che si suicidano, preferendo la morte al carcere. Non fa notizia. I telegiornali non se ne occupano. Salvo ieri. Perché il suicidio di un detenuto nel carcere, di appena 32 anni, ha scatenato una rivolta. Non è riuscito a sopportare l’idea dirimanere in carcere fino a maggio. E se n’è occupato il telegiornale.Quello che la tv non dice, però, è che il codice penale prevede una miriade di reati che puniscono comportamenti di uso comune. Come, per esempio, orinare in una piazzola dell’autostrada, parlare male di qualcuno in sua presenza o in sua assenza e tanti altri comportamenti, più o meno riprovevoli, per i quali il codice commina la reclusione. E non è vero che in carcere non ci va più nessuno: le carceri italiane sono sovraffollate e i suicidi non avvengono solo tra i detenuti, ma anche tra le guardie carcerarie. E sono diffusi quasi quanto quelli tra i carcerati. La politica ha il dovere di occuparsi del problema depenalizzando i reati bagatellari e migliorando la qualità della vita dei detenuti negli istituti di pena. Anche se fa perdere voti. Magari senza attendere che il blocco della prescrizione cambi la composizione sociale della popolazione carceraria.