IL CEMENTIFICIO DI BARILE E L’USO DEL PET -COKE

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Torna alla ribalta il tema del cementificio di Barile, per iniziativa del Movimento 5S che ha chiesto delucidazioni su come viene applicata l’autorizzazione Aia e sul perchè per quell’impiamto non vengono adotatte le misure già suggerite al cementificio di Matera. Mentre l’On. Pedicini si è rivolto al Presidente del parlamento Europeo, il consigliere regionale Gianni Leggieri ha presentato una interrogazione in Regione, chiedendo chiarimenti sull’attività e sul materiale che usa per alimentare l’impianto. In primis   – riferiscleggierioke Leggieri – si chiede la quantità di pet-coke trattata sino ad oggi dall’impianto. Sul punto, occorre tener presente che il Pet-Coke è un residuo altamente inquinante proveniente dalla lavorazione del petrolio.] Ma nell’interrogazione – aggiunge – si chiedono, altresì, chiarimenti in merito al ruolo svolto dall’Arpab sino ad oggi per quel che riguarda i dati ambientali raccolti relativamente alle attività del suddetto impianto, se esiste un piano di monitoraggio delle emissioni e perché sul sito dell’Arpab non è pubblicato nulla in merito ai dati ambientali inerenti l’Impianto che l’area comprendente il territorio del Comune di Barile”.

“Il comune di Matera, in una delle ultime conferenze di servizio – afferma Leggieri – ha chiesto particolari prescrizioni per quanto riguarda il cementificio dell’Italcementi, simile a quello di Barile, sito in una zona soggetta ad una grande emergenza ambientale e ricadente sul proprio territorio comunale. Forse lo stesso andrebbe fatto per l’impianto di Barile che insiste su una zona già devastata da attività altamente impattanti, dove non lontano è presente il famoso inceneritore Fenice (ora Rendina Ambiente). Il territorio di Barile, o meglio quello del Vulture, è ricco di bacini idrominerari e famoso per i prodotti della propria agricoltura come olio e vino di altissima qualità, attorno ai quali lavorano moltissime aziende della zona”.

“Risulta singolare – sottolinea Leggieri – che all’interrogazione del portavoce in Parlamento europeo, Piernicola Pedicini, a rispondere non sono le istituzioni adite, ma la stessa amministrazione del cementificio, il quale, tra le varie risposte fornite, che di certo non tranquillizzano i cittadini, ammette il trattamento di Pet-Coke. Inoltre, non ci soddisfa un comunicato dove la tranquillità che si vuole far trasparire arriva da chi dovrebbe essere controllato dalle istituzioni. Non si può andare avanti con la solita storia che vede confluire in un’unica figura quella del controllore e del controllato. Non spetta a loro rispondere, ma alle istituzioni, in tal caso Europa e Regione Basilicata. Speriamo soltanto – conclude Leggieri – che lo facciano in tempi stretti”.

 

 

APPROFONDIMENTO

“LA FECCIA DEL PETROLIO”

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Il pet-coke, secondo la definizione industriale, è un prodotto che si ottiene dal processo di condensazione di residui petroliferi pesanti e oleosi fino ad ottenere un residuo di consistenza diversa, spugnosa o compatta.

In sostanza il pet-coke è l’ultimo prodotto delle attività di trasformazione del petrolio e viene considerato lo scarto dello scarto dell’oro nero tanto da guadagnarsi il nome di “feccia del petrolio”.

Per la sua composizione – comprendente oltre ad IPA (in particolare benzopirene), ossidi di zolfo e metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio – va movimentato con cura per evitare di sollevare polveri che verrebbero inalate con gravi rischi per la salute. Il trattamento infatti (carico, scarico e deposito) del Pet-coke deve seguire le regole dettate dal decreto del Ministero della Sanità (28-4-1997) concernente il trasporto di sostanze pericolose.

L’Osha, ente statunitense per la sicurezza sul lavoro, ha fissato un limite di esposizione che non va mai superato in quanto è alta la probabilità che causi danni permanenti o la morte. Per questi motivi per esempio l’utilizzo del pet-coke è stato vietato in Giordania. L’Eni brucia il Pet-coke nella raffineria di Gela. L’uso del Pet-coke ha suscitato interrogativi sulla possibile correlazione con le malformazioni e i tumori numerosissimi nella popolazione locale. Nello stabilimento ENI di Gela i magistrati ravvisarono l’ipotesi di un “reiterato comportamento criminoso”.

In Italia fino a qualche anno fa era vietato utilizzare il pet-coke come combustibile alternativo, ma ci ha pensato Berlusconi con il decreto legge 22 del 2002, poi convertito dalla legge 82 del 6 maggio 2002, a trasformare il pet-coke, molto nocivo secondo alcuni studi epidemiologici, in vero e proprio combustibile. Il decreto approvato corresse la classificazione del discusso materiale, fino ad allora considerato dalla legge Ronchi (passata sotto il primo Governo Prodi) come uno scarto tossico, confermò la tesi dell’ Eni e annullò i rilievi dei periti della procura

Il Wwf intervenne dicendo che il decreto sul pet-coke diventato legge era basato su presupposti inventati ed in contrasto con la normativa europea sul riutilizzo dei sottoprodotti di lavorazione delle raffinerie e sull’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili. L’elusione della normativa sui rifiuti consente su tutto il territorio nazionale l’utilizzo di uno scarto di lavorazione ad alto tenore di zolfo, di idrocarburi policiclici aromatici e di metalli pesanti (nichel e vanadio), in qualsiasi bruciatore, anche nei cementifici, senza che vengano adottate le migliori tecnologie disponibili.

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Sull' Autore

Quotidiano Online Iscrizione al Tribunale di Potenza N. 7/2011 dir.resp.: Rocco Rosa Online dal 22 Gennaio 2016 Con alcuni miei amici, tutti rigorosamente distanti dall'agone politico, ho deciso di far rivivere il giornale on line " talenti lucani", una iniziativa che a me sta a molto a cuore perchè ha tre scopi : rafforzare il peso dell'opinione pubblica, dare una vetrina ai giovani lucani che non riescono a veicolare la propria creatività e , terzo,fare un laboratorio di giornalismo on line.

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