Chi si occupa in Basilicata delle politiche attive per il lavoro, della politica industriale e del funzionamento della strumentazione e degli organismi preposti? La risposta è tutti e nessuno, nel senso che stenta a decollare un disegno organico di politiche sinergiche che mettano al centro il lavoro. C’è ,è vero, una convegnistica molto diffusa sui vari argomenti, dall’industria 4.0, alla ricerca, alle start up, ma sfugge il nucleo di un pensiero comune sul rapporto tra investimenti e produzione di lavoro. Il tema dei consorzi industriali ad esempio, come riorganizzazione di una logistica atta a favorire l’allocazione, non appare risolto, anzi si trascina da una bombola d’ossigeno ad un’altra incapace di trovare l’uscita da una crisi permanente che è diventata una sorta di” industria del debito”. Cento capannoni inutilizzati , cimitero di una imprenditoria da rapina che si è portato i soldi altrove ed ha lasciato cassa integrazione e disoccupazione a noi, meritano di essere messi sotto i riflettori di una discussione istituzionale , per capire come se ne esce, se è possibile riprendere il filo di una riconversione produttiva dell’area in direzione di attività più piccole e moderne, fatte di pochi spazi e molta automazione. Non è affatto peregrina l’annotazione del Sovrintendente ai beni ambientali ed architettonici della Basilicata sulla esigenza di un “riuso del territorio industriale” ai piedi della città in una sinergia che veda insieme il risanamento dell’industria decotta, la sostituzione di attività e la rigenerazione del tessuto urbano. Pensare ad un’area artigianale in altra zona della città, significa esattamente perpetuare una politica fatta da tante cose in disaccordo, dove i costi si moltiplicano e i risultati si dividono fino ad annullarsi. Ed è principalmente a Potenza , dove il settore delle professioni, delle partite Iva, del piccolo commercio, dell’artigianato e dell’edilizia soffre più che altrove, che dovrebbe essere messa sotto i riflettori una politica industriale 4.0, con una strategia concordata e unitaria che passi per il risanamento ed il rilancio dell’esistente: un possibile laboratorio di sperimentazione , un luogo di incubazione delle start up, una città che riprende il ruolo dei servizi avanzati, dell’innovazione mettendoci dentro tutti quelli che a vario titolo si occupano di impresa e futuro. Quindi , chi non vuole condannare la città ad una nuova marginalità deve agire sui due livelli possibili di intervento: :rilancio e qualificazione dell’intervento della regione con strutture anche di missione aperte al Paese ed all’Europa e la definizione di una Tecnostruttura, in grado di agire alto: pensare, progettare , promuovere , collegarsi con le grandi realtà industriali per preparare le attività a valle, mettere su i servizi specialistici di cui si ha bisogno, per organizzare una cintura della piccola imprenditoria funzionale e coesa intorno ad un progetto, che è fatto non più di contenitori ma di contenuti che significano lavoro, giovani, professionalità forti, formazione avanzata. Solo così si può procedere lungo la strettoia che passa dal lamento, dalla marginalita’ al protagonismo individuale e di gruppo, sconfiggendo sul campo dei buoni esempi e delle buone pratica i tanti seminatori di sfiducia, precarieta’ e depressione.
la copertina e’ tratta da http://www.italiaunderground.it/