In medio stat virtus. O almeno così dovrebbe essere. Quest’anno la Formula 1 ha conosciuto la rivoluzione delle tre mescole a weekend: dalla più dura alla più morbida. Passando per un compound intermedio. A fine anno è il caso di tirare le somme.
Da sempre i fornitori dei pneumatici producono diversi tipi di gomma. Più lo pneumatico è «morbido», più fornisce aderenza (e quindi velocità) incollandosi all’asfalto. Con uno svantaggio non da poco: dura di meno. Lo pneumatico «duro» invece assicura parecchi chilometri senza fermarsi, ma in compenso è meno veloce. Questo è lo schema base, su cui però intervengono altri fattori (temperatura della gomma, asperità dell’asfalto) che possono stravolgere i giochi.
Di norma a ogni gara arrivavano gomme a due gusti, insomma. Morbide e dure, dure e morbide. Scelte in un carnet di quattro mescole (cui la Pirelli ha assegnato un colore ciascuna: le arancioni Hard, le bianche Medium, le gialle Soft e le rosse SuperSoft).
Quest’anno la grande riforma. I tipi di pneumatici disponibili a ogni gara non sono più due, ma tre. Una botta di vita in campo strategico, che permette alle squadre di poter lavorare con mescole più adatte alle rispettive vetture.
La Pirelli Motorsport ha ampliato la gamma di pneumatici da asciutto da quattro a cinque mescole, introducendo le «gomme viola». Cioè le UltraSoft. Che però di Ultra avevano ben poco, visto che la differenza con le SuperSoft era quasi risibile.
Ecco perciò il disastro. La gamma di pneumatici Pirelli si è praticamente spaccata in due: le tre mescole più morbide (Soft, Super e Ultra) si discostavano poco tra loro tanto per velocità quanto per degrado. Dall’altro lato, le gomme più dure risultavano sempre perdenti in termini di prestazioni. E non duravano abbastanza a lungo da generare strategie competitive.
Aggiungiamoci le due regole assurde (ereditate dagli anni in cui i pit-stop scarseggiavano) che gravano sulla massima serie, e il gioco è fatto. Un pit-stop è obbligatorio, perché bisogna montare due tipi di gomme diverse a ogni GP – e le strategie «monocolore», o le gare di resistenza sulle gomme più dure vanno a farsi benedire – mentre i primi 10 partono con le gomme che hanno usato per conquistarsi l’accesso alla Q3, ultima manche delle qualifiche. Cioè con gli pneumatici delle Q2. Se vi sfugge la logica, o anche solo il senso di tutto ciò, siete in buona compagnia.
Basta dare uno sguardo agli ordini delle squadre alle Pirelli per capire che qualcosa non ha funzionato. Spesso e volentieri le gomme più dure sono state categoricamente snobbate (su 13 set disponibili, alcuni team ne hanno portati solo 1 o 2 a weekend). Pur di vivacizzare le strategie, la Pirelli a volte si è imposta sulle squadre stabilendo che le mescole più dure dovevano essere usate in determinate gare. Ma poco è cambiato.
Il giochino ha avvantaggiato un solo team. La Mercedes. Abbastanza competitiva da cavare sangue dalle pietre (cioè rendere competitive le mescole più dure, notoriamente meno veloci perfino degli pneumatici dei Flintstones) e al tempo stesso tanto bilanciata da allungare all’inverosimile la vita delle gomme più morbide. È stato fatto apposta? Ovvio che no: da sempre chi ha la macchina migliore riesce a trattare coi guanti gli pneumatici. Molto meglio degli altri.
Insomma, fallimento delle mescole dure? Sì e no. Perché quando si è trattato di portare in gara le tre mescole più morbide, ad andare in affanno sono state le gomme SuperSoft. Cioè gli pneumatici che dovevano operare da giusto mezzo tra le burrose UltraSoft e le tenaci Soft. Così non è stato. Vediamo il perché.
Le SuperSoft hanno preso mazzate da entrambi i fronti. Rispetto alle UltraSoft duravano pochi giri in più: non abbastanza per diversificare le strategie. Specie con un ritmo non così diverso. Non valeva la pena perdere qualche decimo pur di racimolare così pochi giri in più. Con le Soft non ne parliamo: più veloci sì, ma sempre meno delle Ultra. E con giri in meno a disposizione.
La domanda è lecita: la Pirelli non sa fare le gomme? No. Il vero problema è che la Pirelli è tra due fuochi: la FIA, le TV ed Ecclestone chiedono gomme che portino spettacolo e varietà, mentre piloti, team e appassionati cercano pneumatici competitivi e prevedibili. Trovare l’equilibrio è quasi impossibile.
Alla Casa milanese rimane perciò la carta 2017. Dall’anno prossimo gli pneumatici saranno il 25% più larghi per fornire più aderenza alle macchine. Vogliamo auto più veloci, dicevano alcuni anni fa: le avranno. Se la FIA avrà l’intelligenza di semplificare il regolamento delle gomme, magari la Pirelli avrà la chance di trovare una quadra che accontenti tutti.
Possibile che si cerchi di ampliare ulteriormente il menu tra cui scegliere i set d’asciutto (sperando che non si finisca nel campo delle IperMaxiSoft). Il nocciolo del problema è realizzare tre set competitivi tra loro, e col cambio mescola obbligato questo diventa difficile. Giocare con tre gusti anziché due significa raddoppiare la sfida: non è più durata contro velocità, perché entra in scena il mezzo-e-mezzo.
Abbiamo provato a orientarvi nel fantasioso mondo degli pneumatici F1. Chi si aspettava grandi prodigi ingegneristici forse è rimasto deluso. Tra commi regolamentari e festival dei colori, sembra di assistere a una partita di Uno!, con tanto di cambio-giro e cambio-colore. Dispiace dirlo, ma forse è proprio così.
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