GIUSEPPE SATRIANO E “IL TEMPO DEL VENTO”- POESIE IN DIALETTO BARAGIANESE RECITATE E CANTATE

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Mario Santoro

Con estrema immediatezza ci si lascia conquistare dalla poesia dialettale baragianese di Peppino Satriano, diretta, senza fronzoli, incalzante, a tratti tumultuosa, tutta ardore ed impeto e capace di sottendere, ma neppure poi tanto, la molteplice varietà dei moti dell’anima, il susseguirsi di sensazioni ed emozioni attraverso lo scavo interiore ricorrendo a certi tuffi nel passato  che torna carico di rievocazioni, di umori, di ancoraggi benefici, di inferenze sottili, di rimandi a talune urgenze psicologiche profonde.

Il volume  è un condensato intelligente e variegato di vita vissuta, una vera e propria miniera di preziosità, un rivangare, senza attardamenti, momenti significativi, vaghezze belle e lontane eppure sempre care e presenti nell’animo dell’autore, e, al tempo stesso, esprime un bisogno di recupero attento di nostalgie  profonde che catturano, emozionano e spingono quasi a fuggire, momentaneamente, il dato reale per rinchiudersi nella torre d’avorio dei ricordi fino al recupero di quelli primigeni e godere del brivido della emozione ripetuta  e continua, di situazioni che inducono alla riflessione, al ripensamento, al godimento.

Dunque non c’è alcun tentativo di rinnegare alcunché del passato,  di cui si esaltano taluni aspetti, riassaporando ogni cosa con calma, gioia e letizia per il cuore e, perché no?, con una dolce e strana malinconia tipica del crepuscolarismo non solo per l’amore nostalgico verso le rose non colte di Gozzano, ma anche per quanto irrimediabilmente passato  con la conseguente scia di rimpianto e quasi una voglia i rifugio.

Va sottolineata la bravura dell’autore in questo suo ripescaggio privilegiato della memoria e nella riproposizione di tasselli straordinari che egli esamina con gusto e garbo, con la forza piena, e talora dirompente, che connota il suo battagliero carettere, eppure, al tempo stesso, con la delicatezza di un bambino, anche un po’ pascoliano e pronto a stupirsi; e mi piace soprattutto il quadro d’insieme che ne viene fuori nell’accomunare uomini e cose, modi di vivere e di pensare, relazioni e rapporti, usi, costumi e credenze e il filo di congiunzione con un mondo scomparso, nella convinzione radicata che senza passato non c’è sicurezza di futuro.

Da ciò anche la scelta naturale della lingua madre, ossia del dialetto baragianese perché ogni sfumatura, anche la più piccola, non vada perduta  e venga ben messa in luce, attraverso coloriture e tonalità, talora come pastellate, più spesso calde e vigorose come certe pennellate Van Goghiane, o  un po’ naif alla Ligabue con chiarezza di sinestesie multiple.

Di qui il ricorso, intelligente quanto sincero e spontaneo, a certe espressioni tipiche e in disuso, a termini del tutto desueti, a notazioni attente e puntuali con lo sconfinamento in altre lingue e con comparazioni, vicinanze di suoni, elementi di contiguità, richiami puntuali, similitudini sorprendenti, sottili allusioni, formulazione di ipotesi nella ricerca della documentazione attenta, nello scavo meticoloso e preciso.

L’utilizzo del dialetto mi pare avvenga sempre in maniera corretta, senza esagerazioni e stravaganze, senza ricorrere, come sovente accade, a forme poplareggianti, volutamente rumorose e a volte stridenti, e quindi senza scadere mai nel puro e semplice folclore e nel facilismo di maniera.

C’è sempre un tonalismo morbido e gradevole, anche quando le parole graffiano, o quando si accenna a qualche nota di  malinconia e di rimpianto, e ancora quando l’autore si concede una certa musicalità del verso e ricorre alle vocali toniche  disponendole in una scansione che suona a tratti squillante e sempre armoniosa.

L’autore è attento e vigile fino alla puntigliosità e all’acribia, evita la facile assonanza e rifugge da ogni forma di compiacimento e fa bene perché in questo modo contribuisce a rimuovere ogni pregiudizio sulla presunta inferiorità del dialetto  che assume carattere di dignità tanto dal punto di vista espressivo quanto da quello estetico: non a caso lo  spessore fonico coincide con il dettato poetico  della concretezza, figlia del contesto sociale e popolare di riferimento, ma anche con l’illusione, il vagheggiamento, il sogno.

E così il linguaggio ora parla piano, conciliante, sornione, accattivante, ora sembra imporsi, scuotersi, alzare i toni, urlare addirittura, tuonare con impeti e sussulti, tormentare i pensieri, farsi valanga, tempesta, in un crescendo febbrile  di  voci umane e di suoni della natura; ora torna a sillabare, a sussurrare, a bisbigliare, a srotolare ricordi addolciti dal tempo, a farsi filastrocca, ad accostarsi a forme sperimentali come il nonsense e quasi a neniare canti di culla in uno stato di straordinario sopore; ora riprende a farsi  irregolare, con cesure che non scandiscono i versi e spezzano i ritmi o segmentano il flusso sonoro con voci che risultano finanche dissonanti, disarmoniche, senza mai disturbare.

La lettura è una continua sorpresa per la varietà e la ricchezza delle immagini che accompagnano i contenuti con figurazioni improvvise.

Ci sono dolcezze semplici, speranze sempre verdi, sogni anche  colori, illusioni in contrasto con la dura realtà, rimandi teneri e delicati.

Basti pensare a “Prate de Magge” che  richiama la primavera nella esplosione dei colori con la vita che rinasce e mostra il suo  vigore nel carico di amore che suscita e si concretizza nella bella dichiarazione conclusiva che vale per tutte le donne:

 Sèmpe ca ‘nce sì tu

i’ che sarragge?!

Sarragge come ‘u vuèrme

ind’u fèrmagge.

E sottolineerei la parola sèmpe che non ha solo valore di fintanto o di  purché ma diventa qui una vera e propria conditio sine qua non.

La primavera resta sinonimo di amore al suo primo apparire che il poeta può cantare solo  attraverso la lingua dialettale nel rimando alla paglia morbida dei fienili con gli sprofondamenti arditi, e poi ai fiori di  campo, ai fiordalisi, alle campanule, quasi a richiamare i “vilucchi” del poeta Novaro nella diversità dei colori, alle corone di pervinche, alle ciliegie a guisa di orecchini, alle rose di ogni specie, ai fiori, alle collane di bianco sambuco che rendono la chiusa della poesia superba

 

Fosti così

regina del mio cuore

lì sul prato.

Donna sempre regina!

Ora il poeta, rotti gli argini del  pudore, può dare la stura al fiume dei pensieri  che si aggrovigliano nella sua mente nel rimando alla fiumara e nella mescolanza di lingue straniere e del dialetto,  nel richiamo al tarassaco  delicato  e caro alla bisnonna Angela, al fiore del cardo, nella rievocazione della magia della notte di san Giovanni, alla luna sempre vicina ai poeti col rimando al nascondino di “Marcoffie” che appare più burlone del solito e gioca senza rispettare le regole, ma anche agli animali come la zunzele, ovvero la cetonia dai colori vivaci e dal suono caratteristico, quasi a fare il paio  con i bombi fuggitivi gozzaniani e poi alla capretta, al muletto, al porcellino, agli uccelli, prima di approdare al mistero incomprensibile dell’esistenza e al senso dello scorrere del tempo come scrive nella poesia “U tiémp è tunne”.

L’allusione alla circolarità degli  accadimenti  terreni,  nella ripetitività sempre nuova e nella evidente contrastività come tra la notte e il  giorno, l’alternarsi delle stagioni, il dolore e la gioia, la vita e la morte sulla linea del destino a cui nessuno può sfuggire  e l’indifferenza del tempo, spinge il poeta a interrogarsi e a fargli dire:

a vita addò fenisce dà accummuènza;

e poi:

U tiémpe ne ‘nghè luònghe / u tiémpe è tunne.

Ma non c’è tempo per fermasi a rifettere perché incombe  il miracolo di sant’Antonio con la sua tambureggiante torrenziale pioggia, accompagnata da un vento impetuoso e da grandine grossa che tambureggia contro i vetri e sui tetti e dal rumore di oggetti che rotolano in un frastuono in crescendo, difficile da raccontare. in un’atmosfera di cupezza e di paura e tuttavia in attesa del miracolo, annunciato dalla processione, dal frastuono  della banda, dai fuochi d’artificio in un incalzante susseguirsi di azioni che sembrano richiamare il poeta tursitano Albino Pierro: “Scàmizze di uagnune e d’urganette / e battarie e tròne di tammure”

E’ un mondo  che vive quello raccontato da Peppino, con modi e situazioni quotidiane, pullulante di dettagli e di particolari e poi, quasi per magia, si acquieta delicatamente sulla ricetta per vivere una vita serena, per imparare l’arte burlona del sovvertimento e cioè del saper rendere straordinarie e noiose le azioni quotidiane e comuni, superando, sia pure temporaneamente l’angoscioso precario senso della brevità dell’esistenza.

L’autore lo dichiara apertamente nella poesia “Pista” dedicata alla zia Luisa, con riferimento alla insensibile morte e una chiusa quasi sentenziosa sulla vacuità dell’esistenza, resa al meglio dal ‘chiù’ finale che annulla irrimediabilmente la speranza:

Nuje simme sop’u munne nu rumòre

ca s’alluntane e ne se sente chiù.

E per fortuna nel breve rumore che è la nostra vita, l’uomo lascia il segno indelebile.

Vale per la sete di sapere  che sembra non estinguersi mai come accade nalla poesia “Sécche”, per il  bisogno di giustizia, per l’esigenza a tratti di chiedere conto finanche dell’operato di Dio con la caduta finalmente di tutte le croci, per il fico umile che offre all’uomo i suoi  delicati e buoni frutti, metafora della bontà e della misericordia, per la giovinezza che sfiorisce rapidamente, per il valore dell’amicizia, per attenuare le fatiche del giorno e per qualche momento di incantamento, un po’ d’Annunziano e pascoliano, con tanto di quiete, per gli affetti familiari e per il chiarore lunare:

Te siénte camenà ‘a lune sòp’a mane.

Sensazione straordinaria e intraducibile con le parole come tante altre:

 

Mettiétte ‘a vocche ò tuònze d’a jemare

Hagniétte d’acque i cchiòtte sott’u puiscele

Surchiaje p’i mmane a cuòppe

Veviétte ind’a gròtte d’u vuaddòne

E con le espressioni tornano termini particolari: ‘mpantascata (assonnata) starlenta (squillante) aggruata (sorda) scioffole (scarpa mal ridotta) sciusce (costume) zefelà (fiatare) vuerdele (trapano). E ancora ‘Na quèdde, pòcche, iénne iénne, anquarche, scatapénte, taréngule, sfrahanizzo ecc.

 

 Fin qui il poeta, ma solo per ora!

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Sull' Autore

Mario Santoro Mario Santoro è nato a Miracolo (Avigliano) ed è residente a Potenza. Già docente di materie letterarie, è poeta, scrittore e critico letterario. (Mariosantoro43@gmail.com) Ha pubblicato: -Embrici- poesie -Alfagrafica Volonnino- Lavello, 1986; -Embrici e poi- poesie -Alfagrafica Volonnino- Lavello, 1987; -Concerto di memorie- romanzo -Ed. La Vallisa- Bari, 1989; -Concerto di memorie- romanzo rid. Sc. Medie -Ed Appia 2- Venosa 1991; -Pianeta uomo- Tematiche di Attualità -Ed Il Girasole- Napoli, 1991; -Pianeta uomo- Tematiche di Attualità- Formato tascabile -Ed. Il Girasole- Napoli 1991; -Sentieri di ragno- poesie -Ed. Il Girasole- Napoli 1993; -Uomo e società- Tematiche di attualità- Ed Il Girasole- Napoli, 1994; -Elementi di linguistica e psicomotricità- Ed Il Girasole- Napoli, 1994; -Meridiani e paralleli - poesie -Ed La Vallisa- Bari, 1997; -Scorci di tempo- Poesie e prose- Unitre sede di Potenza, 1999; -Viaggio nella terra dei Suomi- cronaca di un’esperienza- Ed Il Portale- Pignola, 1999; -Il riverbero della luna- romanzo –ErreciEdizioni- Potenza, 2000; -Alla fontana...le parole- La Grafica Di Lucchio- Rionero in Vulture (Pz), 2009; -Stagliuozzo come strazzata- Centro Grafico Castrignano- Anzi, 2010 -Il grano azzurro- romanzo ErreciEdizioni- Anzi (Pz), 2023 -Viaggio con la madre- romanzo ErreciEdizioni- Anzi (Pz),2023 Ha pubblicato, in qualità di critico letterario i seguenti volumi: -Oltre le barriere- Ospiti del centro La Mongolfiera- Tip. L’aquilone- Potenza, 2002; -La memoria e l’identità- Antologia di poeti e scrittori lucani volume marrone- Consiglio regionale della Basilicata- Potenza, 2004; -La Memoria e l’Identità: Lucania versi- Cento schede- Consiglio Regionale di Basilicata – Potenza, 2004; -La memoria e l’identità- Antologia di poeti e scrittori lucani volume azzurro- Consiglio regionale della Basilicata- Potenza, 2005; -C’era una volta...insieme- raccolta di fiabe- Dipartimento salute mentale A.S.L. num.2 Potenza. Centro sociale La Mongolfiera, Coop Benessere- Potenza, anno 2006. Ha scritto e pubblicato centinaia di percorsi su poeti, scrittori, artisti. E' autore di percorsi poetico-letterari a tema pubblicati su riviste e antologie.

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