I “MALEDETTI “ANNI CINQUANTA: VEDOVE BIANCHE E BAMBINI INVISIBILI

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ARMANDO TITA*
Continuano in questi giorni i viaggi della “deterrenza” verso il Centro Migranti di Albania. Sbarcati sinora, nel solo mese di gennaio, oltre tremila migranti, dirottati in Albania solo 49. Le organizzazioni umanitarie, il TAI (Tavolo Asilo e Immigrazione), in primis, stanno monitorando le procedure e le condizioni di accoglienza. Nel frattempo, sentiamo di condividere il particolare impegno e la particolare sensibilità dell’Unicef Basilicata e della Prefettura di Potenza finalizzato a garantire i diritti a tutti i minori non accompagnati, ospitati nelle strutture lucane. Impegni caratterizzati, purtroppo, da soggiorni infiniti e da tanta stanca, routinaria e noiosa quotidianità. Constatiamo amaramente che non vi sono né una vera strategia e né una visione per il prossimo futuro così come si voleva nella  legge n. 47/2017. Registriamo solo partite di calcio senza veri e concreti progetti di inclusione sociale, senza seri percorsi di integrazione, stanchi come siamo di vedere “bighellonare” nei nostri Comuni tanti bravi ragazzi, senza entusiasmo e senza sorrisi(Spero… di essere smentito). Avrei tanto desiderato avere il TAI e tutte le organizzazioni ecclesiastiche e umanitarie vicino a me e alla mia cara madre, nel lontano marzo 1955, quando io, bambino invisibile, di quattro anni, e mia madre, ragazza ventisettenne, avevamo un sogno, quello di ricongiungerci con papà, emigrato in Venezuela. La Commissione preposta al ricongiungimento familiare formata da medici e da un assistente spirituale, un gran bel sacerdote che sorseggiava beatamente un caffè corretto con cognac, insensibile e indifferente al dramma che stava vivendo mia madre invitata cinicamente dalla Commissione a lasciare il bambino (il sottoscritto) e ad accomodarsi nella sala per l’imbarco in Venezuela. Potete immaginare cari lettori la disperazione di mia madre costretta a scegliere tra il suo giovane marito e il suo pargolo di quattro anni con un assistente spirituale intento a completare la “goduria” del sorseggio del caffè con cognac. Un comportamento che Papa Francesco avrebbe sicuramente censurato e condannato. Purtroppo questo era il contesto ambientale vissuto dalle famiglie degli emigrati italiani negli anni cinquanta. A tal proposito non va dimenticato il podcast di Rai Play Sound creato da Cristiano Balducci che porta alla luce l’emigrazione italiana per le Americhe degli anni cinquanta, per l’appunto. In quei maledetti anni cinquanta non ero il solo bambino invisibile, erano invisibili pure i figli dei nostri lavoratori in Svizzera. Ho dedicato più di qualche report sia sulle pagine di Primo Piano del Quotidiano della Basilicata, sia sulla Prima Pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, edizione Basilicata, a questo caso emblematico dei bambini invisibili, figli di emigrati italiani in Svizzera, costretti a vivere “sottovoce”. Una pagina vergognosa di storia dell’emigrazione italiana che riemerge in un libro di Francesca Mannocchi: “Noi piccoli italiani clandestini” aventi per protagonisti Toni Ricciardi, Catia Porri ed Egidio Stigliano (oggi medico in pensione, originario di Nova Siri).  Bambini invisibili costretti a subire la scellerata e razzista condotta dei Governi svizzeri degli anni cinquanta . Toni, Egidio e Catia hanno formato l’Associazione “Bambini invisibili”. Sono circa trentamila i bambini “sottovoce” che chiedono a distanza di settant’anni un risarcimento morale e materiale alla Svizzera, senza aver mai dimenticato la silente e ignava condotta dell’Italia dell’epoca, transeat sulle imperturbabili e indifferenti istituzioni lucane, dalle Province di Potenza e Matera ai Comuni e… alle Parrocchie. Un’Italia che ha chiuso gli occhi sui gravissimi e disumani comportamenti adottati sia dai Paesi europei che dagli Stati Americani. Comportamenti che hanno calpestato la legalità e stuprato il sacrosanto valore ai diritti umani di decine di migliaia di bambini italiani. Più di tutto si negava il ricongiungimento familiare. I terrificanti video del disumano distacco dei bambini messicani dalle loro madri ha fatto il giro del mondo ed ha atterrito la maggioranza silenziosa degli americani. Lo stesso dicasi del disumano distacco vissuto dalla mia generazione tra padri lontani e vedove bianche. Sono il figlio di un emigrante venezuelano, come già riferito, (mio padre partì nel giorno di Santa Lucia il 13 dicembre 1950 per il Venezuela con i fratelli De Luca, il padre Pietro e lo zio Vincenzo del Governatore della Campania, Enzo De Luca). Io nacqui dodici giorni dopo, il giorno del Santo Natale. Mio padre ritornò quindici anni dopo. Sono stato un fortunato. Decine di migliaia sono i lucani partiti negli anni cinquanta, migliaia sono le vedove bianche che non hanno più rivisto i loro mariti per “sopraggiunti” matrimoni “americani”. E’ una piaga, una ferita non ancora cicatrizzata, brutalmente rimossa dalla storia, dalla stampa e da una opinione pubblica smemorata. Qualcuno ricorderà i “Girasoli” lo stupendo film di Vittorio De Sica interpretato da due fuoriclasse come Sophia Loren e Marcello Mastroianni…il dramma di chi rimane a casa ad aspettare il ritorno di un marito e di un padre…invano. Spero che l’Associazione “Lucani nel Mondo” riscopra con un po’ di sensibilità questa ulteriore pagina amara della nostra emigrazione indecorosamente rimossa. Molti italiani e tanti lucani hanno formato nuove famiglie nei loro paesi di emigrazione dimenticando le mogli e i loro figli piccoli, lasciati ignobilmente nella solitudine e nella miseria. Le rassegnate vedove bianche hanno accettato questo terrificante ruolo, questo orribile “status quo” per rispetto dei loro figli, quasi vergognandosene. Sarebbe bello ridare la dovuta solidarietà alle tante madri lucane che hanno vissuto la loro “vedovanza bianca” con tanta dignità e con tanto pudore. Sarebbe bello rivivere una giornata di ricordi e di solidarietà con i figli degli emigranti lucani degli anni cinquanta, oggi settantenni, in uno specifico raduno promosso dalla Regione Basilicata.  Siamo stanchi di essere “testimoniati” da persone che hanno vissuto l’emigrazione solo dai documentari e/o dalle Teche Rai. Chi non ha vissuto sulla propria pelle non potrà mai capire il dramma dell’emigrazione, delle vedove bianche, e, soprattutto, quel dramma che non si è mai ricomposto e mai sanato completamente nei rapporti padre/figlio/a. Quante delusioni e quante amarezze per i figli di emigranti costretti a riconoscere da adolescenti o da adulti dopo decenni di lontananza l’ingombrante figura paterna del tutto estranea al nucleo familiare, ormai, consolidatosi nel tempo. Oggi mi sento di fare un plauso alla Provincia Autonoma di Trento che ha posto in essere un interessante progetto di solidarietà ed ha raccolto la ricchezza delle storie di vita delle donne migranti nel Trentino . Un percorso che ha messo in evidenza l’intreccio costante tra migrazioni e vicende familiari e le difficoltà prima di tutto “emotive”. Le stesse difficoltà sono presenti pure nei ragazzi “protetti” dall’Unicef e dalla Prefettura di Potenza che da tempo immane vivono “traumaticamente” un mancato rapporto affettivo caratterizzato da un angosciante distacco dai loro familiari.
*Sociologo e saggista
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