Rispetto al 2008, il punto di inizio della crisi, la Basilicata ha seimila occupati in meno. E’ il frutto , dice la Cgil, di politiche di governo sbagliate che in questi anni hanno operato una decrescita degli investimenti, anche per colpa di istituzioni locali e classi dirigenti che non hanno saputo usare bene le risorse dei fondi strutturali. I fondi comunitari non sono stati aggiuntivi ma sostitutivi della spesa corrente, facendoci perdere una grande occasione di sviluppo e generando una distorsione nelle politiche economiche e di finanziamento. Oggi il mezzogiorno vive una condizione di debolezza economica e di scarsa credibilità politica delle sue classi dirigenti che rischia di consegnare il futuro a formazioni politiche neopopuliste che nulla hanno a che fare con la storia del meridionalismo.
Ciò implica la costruzione di un nuovo pensiero meridionalista – afferma Summa, il segretario regionale della cgil – che sia meno assistenzialistico e che smetta di trovare la traiettoria del suo sviluppo nella locomotiva nord. È necessario che il mezzogiorno costruisca una condizione propria di autonomia che guardi al mediterraneo. Una prospettiva rispetto alla quale le Zes sono un punto cruciale, se intese non come elementi di connotazione ma come azione logistica che consenta alle imprese del mezzogiorno di avere vantaggi competitivi sui costi di trasporto. Altrimenti è ovvio che le nostre imprese non riusciranno a guardare all’export. Il Sindacato ha una strategia per invertire la situazione e questa si basa su quattro direttrici : l’aumento dell’intensità dell’investimento pubblico nel mezzogiorno, portando la spesa ordinaria in conto capitale dello Stato nelle regioni del sud ad almeno il 45% del totale per un quinquennio, creare un’agenzia per lo sviluppo industriale, introdurre un fondo destinato alla mobilità nel mezzogiorno, la messa in sicurezza, la cura e la valorizzazione del territorio e del patrimonio ambientale, Partendo dalla domanda – dice il responsabile economico del sindacato, Sanna- si può qualificare l’offerta, in modo partecipativo e in una idea della democrazia non plebiscitaria ma deliberativa: da un verso le parti sociale che si allargano e fanno rete, dall’altro le istituzioni affinché dal basso arrivi la domanda e dall’alto le risposte in termini di politiche industriali, innovazione sociale e sviluppo sostenibile”.
LE PROPOSTE DELLA CGIL PER RISALIRE LA CHINA
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