L’ECOSOCIALISMO FUNZIONA SE E’ SOCIALISTA

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Marco Di Geronimo

Una cosa rosso-verde: questo era il concetto attorno al quale bisognava costruire la sinistra speranziana. Da mesi Roberto Speranza, leader di MDP, andava ripetendo questo slogan. Nella giornata di ieri, nel corso di una kermesse tenutasi a Roma, il coordinatore nazionale degli scissionisti ha usato un’espressione più radicale: «ecosocialismo».

Da quasi due decenni i socialisti brancolano nel buio alla ricerca di un’uscita a sinistra dalla globalizzazione. E negli ultimi anni è apparso evidente che “i no-global avevano ragione”. I cortei di fine e inizio millennio facevano bene a contestare i Governi dell’epoca. Che, tra l’altro, erano in tutta Europa sostenuti da partiti di centrosinistra.

Come strutturare una risposta politica progressista al fallimento della globalizzazione è difficile da determinare. Senz’altro un passaggio chiave è l’intervento di Alfredo D’Attore. E di chi come lui sostiene che non si può stare «né col Governo né con la Commissione». L’analisi di D’Attorre è in continuità con quella delle sinistre estere, che individuano nella politica d’austerità la causa del grande ritorno dei nazionalismi e delle politiche di destra.

Sradicare i meccanismi che muovono l’economia di oggi è necessario. Anche in Italia le varie sinistre concordano sulla critica al neoliberismo. Basti dire che perfino nel Partito democratico, roccaforte dell’austerità tricolore, c’è Dario Corallo ad agitare la bandiera sandersiana della lotta contro l’1%. E non è un caso che ieri si siano udite proposte come un «Green New Deal», un grande pacchetto di stimolo dell’economia teso a riconvertirla in senso ecologico.

L’intreccio tra questione ecologica e sostenibilità della crescita sembra la chiave del ragionamento di Speranza. Tuttavia non è ancora sufficientemente chiaro per quale strada passerà la rottura con le politiche di austerity. E una spia preoccupante è la mancanza di un “nemico” da combattere, nei piani del soggetto che supererà MDP.

Non è che bisogna avere un nemico perché convenga essere brutti, sporchi e cattivi… né che averlo significhi esserlo. Infatti le forze più dialoganti e disponibili dello spettro democratico spesso sono state forze di sinistra. Basti pensare al culto per la democrazia parlamentare che sia il PSI sia il PCI facevano proprio nella Prima Repubblica.

Il nemico – se così lo si può chiamare – è necessario perché ogni politico sa di voler incarnare gli interessi di qualcuno. I quali sono per forza in contrasto con quelli di qualcun altro. Non è un caso che tutti i fenomeni in crescita nelle cabine elettorali europee pongono una sfida molto chiara. Gran parte delle sinistre vincenti combatte lo stesso avversario di sempre. Un tempo lo chiamava «il capitale», oggi si usa la formula «l’1%». Essere socialisti, oggi, significa ritornare alla lotta dei lavoratori contro gli sfruttatori, del 99% contro l’1%.

Non si può dubitare della fede socialista di Speranza. D’altronde l’ex capogruppo PD professa da mesi la necessità di costruire un partito «del lavoro», in chiara continuità con la proposta di Jeremy Corbyn. Eppure il programma di Liberi e Uguali, e le esternazioni dei componenti di MDP, sembrano essere meno aderenti all’ampia agenda di nazionalizzazioni e di avanzamento dei diritti dei lavoratori che caratterizza il Labour corbynista. «Workers» è una parola ricorrente nei discorsi dei laburisti di oggi.

Si spera che dall’assemblea di ieri fuoriesca un progetto autenticamente ecosocialista. Molti dei Verdi europei sono tutt’altro che liberisti. Costruire un «cocomero» (verde fuori e rosso dentro) potrebbe significare mettere in piedi un’opzione credibile per le prossime tornate elettorali. Ma il dubbio è che l’operazione serva più che altro a distanziarsi dalla futura lista di De Magistris.

Rebus sic stantibus, alle prossime europee si presenteranno due liste di sinistra contrapposte. Ciò che rimane di LEU (Sinistra italiana) abbinato a ciò che rimane di PAP. E quel che verrà fuori dall’esperimento speranziano. Ma ammesso che il progetto (autoproclamatosi) ecosocialista abbia una vocazione di lungo periodo, l’interrogativo è un altro. Sarà competitivo?

Difficile immaginarsi questa cosa rosso-verde come un soggetto capace di contendere qualcosa di più del 2%. La ragione è che il suo bacino elettorale è già presidiato: dal PD, da +Europa, dal Movimento 5 stelle. Se nel lungo periodo si riuscirà a costruire un’agenda capace di convincere gli elettori, sarà stata una mossa intelligente. Ma per ora è prevedibile che chi si ritiene di sinistra preferirà convergere sull’altra opzione in campo.

E la ragione è molto semplice. Il messaggio che la «sinistra antagonista» farà passare sarà di una rottura molto più credibile nei confronti dell’establishment rispetto a quello che la cosa rosso-verde sembra prefigurare. In un periodo così caldo, Speranza rischia di trovarsi col cerino in mano. Chi ha un partito, si rinchiude nel suo simbolo. Chi non ce l’ha, converge con fiaccole e forconi sulle opzioni più radicali. Per dirla con Machiavelli, sono tempi impetuosi, «e però l’uomo rispettivo, quando gli è tempo di venire all’impeto non lo sa fare; donde egli rovina».

Serve individuare un nemico da combattere, dunque. Serve sapere che si sta combattendo una battaglia: quella contro l’ordine liberista che liquefa i rapporti sociali e crea le condizioni di incertezza e di paura in cui versa la popolazione. Non si (ri)costruisce una fede politica socialista agitando ricette keynesiane. Bisogna collegarsi alle persone. E per farlo non basta «aprire al mondo cattolico». Si rompa con l’agenda e lo schieramento liberista, si mostri alle masse una prospettiva di concreto miglioramento delle condizioni di vita.

Non si riconquisteranno i voti che al momento si disperdono tra PD, M5s e +E con i programmi scritti con le parole più belle e i colori più vivaci. Né si sconfesserà la sinistra-sinistra denunciandone l’incapacità di fare politica. O si aggredisce lo status quo con proposte che combattano il precariato e l’insicurezza, o si morirà ignorati.

Costruire il consenso è un’operazione di enorme difficoltà. Lo si può fare solo se si ha ben chiare le prospettive filosofiche e politiche della propria fazione. Il dubbio che divora chi vorrebbe votare questa compagine è che la debolezza dei rosso-verdi dipenda da una loro confusione. Forse alcuni particolari fuori posto possono spiegarsi con delle divisioni ideali tra la dirigenza. Forse l’ecosocialismo non è un minimo comun denominatore, perché magari esistono gruppi più liberal che socialisti, più rigoristi che laburisti, più europeisti che democratici, all’interno della «cosa». Ma di questi tempi socialismo e liberismo non possono andare d’accordo: la rotta deve essere chiara e netta.

Se l’esperimento ecosocialista scioglierà i nodi ideali che forse dividono la dirigenza, allora si potrà parlare di operazione riuscita. Altrimenti rischierà di tramutarsi in una sorta di Insieme 2.0: una lista “alleata di”, ridotta di un Ulivo che non esiste più, erede di una tradizione non rosso-verde, bensì rosso-gialla (e per gialla s’intende liberalista). E i voti socialisti andranno altrove.

Che lo si tenga ben presente: l’Italia non è la Germania e il PD non è l’SPD. E tra l’altro i Grunen non sono ecosocialisti tedeschi (come dimostra questo articolo): forse si sta prendendo a esempio l’esperimento sbagliato. A meno che non si voglia essere ecoprogressisti, anziché ecosocialisti. Scelta legittima. Vincente in un Paese che non ha mai avuto uno Stato al centro dell’economia e che non ha mai sfamato due grandi Partiti socialisti marxisti, come la Germania. Chissà quanto competitiva in Italia, da sempre terra dell’intervento pubblico, e della lotta politica dei lavoratori.

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Sull' Autore

Direi di scrivere soltanto questo: "Potentino, classe 1997. Mi sono laureato in giurisprudenza a Pisa".

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