RENZI E LA CONDANNA A PITTELLA.

0

nino-carellaNINO CARELLA
Arriva la conferma in appello della condanna della Corte dei Conti nei riguardi di un nutrito gruppo di consiglieri regionali della passata legislatura. Alcuni di essi furno estromessi dalla possibilità di candidarsi in questa da una sofferta e contestata decisione “in autotutela” del Partito Democratico. Sfuggì alla quarantena il governatore Pittella, che forte di un solido consenso elettorale, usò anche quella decisione a proprio favore, mostrandosi come il ribelle che sfidava un partito che non lo voleva, perchè impegnato a proteggere vecchi equilibri.

Vera o falsa che fosse la narrazione pittelliana, vinse di misura le primarie con Piero Lacorazza e fu candidato a Governatore della Basilicata, peraltro ad ampissima maggioranza (pur se con record negativo di partecipazione).

L’affaire Pittella era dunque una bomba ad orologeria, che attendeva solo lo scatto del timer per esplodere. Inutili i timidi tentativi di disinnescarla. 

E ora che è esplosa?

Bastano le spiegazioni degli interessati, di un meccanismo riguardante i (legittimi, anzi necessari) rimborsi spese, tooppo aleatorio e farraginoso? 

Può il “nuovo” Renzi accettare che il suo primo sponsor lucano (suo unico capolista nell’ultimo Congresso) abbia più di un’ombra sul suo operato politico? Davvero il destino di un uomo solo può condizionare, ferire e fiaccare una comunità di migliaia e migliaia di persone (per quanto si certo, molte di esse, tifose a prescindere della potente famiglia lucana)? 

Domande a cui dovrebbe essere chiamato a rispondere il partito regionale. Ma, sorpresa! il partito regionale non esiste più: dalla scomparsa dell’ultimo compianto segretario Antonio Luongo, non è stato infatti più riorganizzato e riunito.

Intervenga allora il segretario nazionale Renzi a risolvere il problema. Restituendo prima di tutto alla comunità lucana un partito forte, indipendente e rinnovato. Oppure stabilendo (finalmente) quei paletti di moralità e di rigore che mai in nessun caso nessun eletto o nessun dirigente del Partito Democratico potranno sognarsi di aggirare. Non ci siano iscritti più uguali degli altri tra di noi.

Perché è tempo di capire che o si risponde alla crescente domanda di trasparenza, legalità e onestà del popolo italiano (partita dalle sempre commossamente celebrate stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992), finora sempre ignorata o addirittura tradita, o questo Paese non cambierà e non crescera mai, consegnato nelle mani insicure e pericolose di demagoghi e populisti.

E ci sarà poi ben poco da lamentarsi, e tanto da rimpiangere per quanto si sarebbe potuto fare, e invece non si è fatto.

Condividi

Sull' Autore

Ho impostato il navigatore in direzione aziendale ma, blaterando di democrazia e di sviluppo, ho svoltato a sinistra finendo dritto addosso a un blog: ed erano già passati quarant'anni.

Rispondi