SANITA’ E PUBBLICO IMPIEGO, SI TORNA INDIETRO

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Ogni tanto la Corte Costituzionale si ricorda che esistono le Regioni e dopo una serie di pronunciamenti contrafi, che definivano l’inreresse prioritario dello Stato, le riammette al tavolo decisionale. Proprio alcuni giorni fa, a quelli che lamentavano la sottrazione di poteri delle regioni con la riforma costituzionale avevamo  replicato che di fatto la sottrazione era già in vigore a Costituzione ancora non modificata ufficialmente. E’ accaduto che su norme importanti, quali la sanità, la nomina dei dirigenti nella P:A., le partecipate , la Corte ha rilevato che trattandosi di materie concorrenti ,il Governo deve accordarsi con le Regioni e non solo sentirne il parere.

Secondo la Corte è infatti è “palese il concorso di competenze, inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente, ma ciascuna delle quali concorre alla realizzazione dell’ampio disegno di riforma della dirigenza pubblica. Pertanto, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del legislatore statale, se necessario a garantire l’esigenza di unitarietà sottesa alla riforma. Tuttavia, esso deve muoversi nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie. Poiché le disposizioni impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente statali e regionali, il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione deve essere individuato nella Conferenza Stato Regioni”.

E questo vale anche per l’art.11 della legge delega dove si prevede un apposito decreto legislativo per disciplinare il “conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi sociosanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale”.

Da qui la decisone della Corte di dichiarare “l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, nella parte in cui, nonostante le molteplici interferenze con le competenze regionali non risolvibili mediante il criterio della prevalenza del legislatore statale, prescrive, per l’adozione dei decreti legislativi delegati attuativi, una forma di raccordo con le Regioni – il parere in Conferenza unificata – da ritenersi lesiva del principio di leale collaborazione perché non idonea a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali, necessario a contemperare la compressione delle loro competenze. Solo l’intesa in sede di Conferenza Stato Regioni, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgimento di genuine trattative, garantisce un reale coinvolgimento”.

Cosa accadrà al momento è di difficile previsione, considerando anche che sulla materia potrebbe incidere il risultato del referendum del 4 dicembre. In caso di vittoria del No, e quindi con il mantenimento dell’attuale Titolo V che disciplina le competenze legislative in materia tra Stato e Regioni, la sentenza odierna della Corte manterrebbe inequivocabilmente la sua validità costringendo l’Esecutivo a ridiscutere le norme in Stato Regioni.

Nel caso di vittoria del Sì, entrerebbe invece in vigore il nuovo articolo 117  che modifica gli ambiti di intervento legislativo, lasciando alle Regioni la competenza solo su “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari”, e in questo caso il verdetto della Corte, almeno per la parte riguardante i manager delle Asl, potrebbe anche risultare superato.

Anche questo è materia di riflessione per i cittadini. In un sennso o nell’altro. Giuseppe Digilio

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