Se mai un giorno per un qualunque motivo il mio corpo ed il mio cervello dovessero prendere due strade diverse, e mi ritrovassi a vegetare, attaccata ad una macchina, prego chi mi vuole bene di ascoltare i pareri medici. Uno, due, tre, quanti ne volete. Se danno una possibilità anche minima che corpo e cervello ritrovino la strada di casa insieme, provateci, con tutte le vostre forze.
Mettetemi un paio di cuffiette alle orecchie e fatemi sentire 24 ore su 24 il mio amatissimo Bruce Springsteen. The river, Born to run, The ghost of Tom Joad, No surrender, I’m on fire, Meet me in the city, Point blank, Devils and dust. Tutto, ma proprio tutto, De Andrè. Tutto Edoardo Bennato. I migliori anni della nostra vita. A whiter shade of pale. La Nona e la Quinta di Beethoven, tutto Mozart, i valzer di Strauss. Tutte le tarante della terra. Raìss e gli Almamegretta. Mina che canta Stasera sono io. Tutte le canzoni napoletane classiche, anche le più antiche. Gli spari sopra e Sally. Baglioni e i Pooh. Tutto, ma proprio tutto, dei Beatles. Battiato e Celentano. Placido Domingo che canta E lucean le stelle. Maria Callas. L’audio della finale del Mondiali del 1982 e del 2006, di Italia Germania 4-3, la telecronaca di Galeazzi della gara degli Abbagnale alle Olimpiadi di Seul. La radio che annuncia la fine della guerra.
Alternatevi vicino a me e leggete ad alta voce, voci che amo, che possa riconoscere. Il canto di Ulisse e quello del conte Ugolino. Il canto di Farinata degli Uberti, di Piccarda Donati, di Ciacco. Tutto Primo Levi. Il punto dell’Iliade (magari in greco) nel quale Achille piange da solo sulla spiaggia e sua madre Teti esce dalla spuma del mare per consolarlo: “Tékhne, tì klaieis?” (“Bambino mio, perchè piangi?”). Lucarelli, Dazieri, Carofiglio, Cornwell. Camilleri (questo so già chi dovrebbe leggermelo). L’Odissea. La mano sinistra delle tenebre. Il resto di niente. Il petalo cremisi e il bianco. Benni, Fois, Buccini, Ammanniti, tutti i giallisti nordeuropei.
Toccatemi. Carezze, massaggi, baci, abbracci stretti e prolungati. Lo sapete che amo il contatto fisico, non mi darà fastidio.
Se la possibilità che tutto questo funzioni non è data, e siete sicuri che non soffro, non percepisco, non sento, non vivo, decidete voi. Mettetevi intorno ad un tavolo e decidete come vi sembra più giusto, più umano, più somigliante a me che la strada finisca. Staccare o non staccare, nutrire o non nutrire, fate voi. Allargate il tavolo e fate venire amici, compagni di strada, gente con cui ho lavorato, parenti anche lontani, amori compiuti e incompiuti. Discutete a lungo, scrivete su una lavagna a fogli mobili pro e contro, chi vota a favore chi contro. Prendetevi tutto il tempo che volete, tanto io non avrò nessuna fretta. La mia famiglia (ristretta) abbia l’ultima parola, alla fine.
Mi fido.
E se avrete potuto scegliere ad attuare la decisione in tutta libertà, senza ingerenze del Vaticano, del Governo, di chiunque senta di dover mettere il becco in decisioni così private e personali e dolorose; se avrete potuto scegliere ed attuare la decisione tenendo conto delle mie volontà e della vostra sensibilità, non in nome di un astratto “diritto alla vita” che chissà perchè vale per corpi che vegetano ma non vale per gli immigrati clandestini, per gli operai che cadono dalle impalcature, per i bambini che muoiono affogati nel Mediterraneo; se avrete potuto avere l’ultima parola sulla mia vita; se avrete potuto fare questo, mandate un pensiero riconoscente a Beppino Englaro, e a tutti quelli che come lui si son battuti, vilipesi, per questo, e ringraziatelo.