Nessun viaggio e’ mai uguale al precedente, nemmeno se partenza e meta sono le stesse, come sanno benissimo i pendolari di ogni latitudine. E quindi, un sacco di cose sono cambiate anche fra Italia e Stati Uniti.
LA SICUREZZA. “Il Terminal 5 non esistera’ piu'” ci dice perentoria la signorina del check in a Fiumicino. Quindi quello che a tutti noi era sembrato un avamposto della sicurezza (un terminal un po’ isolato, tanto che ci voleva una navetta per arrivarci, dal quale partivano solo i voli per gli Stati Uniti e per Israele, irto di uomini in divisa che imbracciavano mitra, non c’e’ piu’. Il check in avviene nella gehenna del Terminal 3, da cui partono voli per ogni punto del mondo. Scomparso anche il pre-check in, che l’anno scorso, come forse qualcuno ricordera’, si era arricchito della surreale interrogazione da quinta elementare per verificare chisei-dovevai-unfiorino. Scomparsa l’umiliante trafila di togliersi le scarpe, al passaggio al metal detector. Che fine ha fatto la riguda politica di severo protezionismo di Trump? Tutto sembra piu’ confuso, affollato, rilassato.
In Italia.
Quando si arriva negli States, c’e’ la solita immane fila per il controllo passaporti, il solito scoglionatissimo interrogatorio del doganiere latinos che potrebbe sostanziarsi nella frase “che sei venuto a fare? potevi startene a casa tua“, il solito rito della presa delle impronte digitali digitale (non e’ un errore di battitura: le impronte te le prende un lettore digitale) e della foto segnaletica. Un giovane della provincia di Salerno tenta di fare il furbo e scavalca la fila, con la scusa che il suo aereo sta per partire. Errorissimo. Viene acchiappato per un orecchio dalla obesa poliziotta di colore e come nel gioco dell’oca costretto a ricominciare la fila. Dall’inizio.
LA FORZA DELLA MEZZA ETA’. Sul volo intercontinentale della American Airlines nessuna delle hostess e degli steward ha meno di 50 anni. Penso sia per motivi di maggiore esperienza, su voli piu’ lunghi e complicati. Ma anche sul volo interno per la mia destinazione le hostess sembrano la mia maestra delle elementari. Anche l’avvenenza fisica sembra un po’ dimenticata, fra le caratteristiche richieste per fare l’assistente di volo. Forse e’ la crisi, il mancato turn over del personale, penso. Ma quando entro nel “mio” Starbucks, regno dei ragazzini che arrotondano per pagarsi il college, e vedo che anche la commessa capa ha la mia eta’, capisco che la rivoluzione e’ in atto. Abbiamo ucciso le nuove generazioni e siamo rimasti solo noi, nel guado, non abbastanza vecchi per andare in pensione, non abbastanza giovani per ricominciare daccapo, ma abbastanza per avere le rughette intorno agli occhi e la faccia di chi ne ha viste tante, e non ci fa piu’ caso.
LE PAURE. Entrare nel mega terminal a Fiumicino, passato il primo momento di sgomento da ingresso nell’Ade, significa pensare subito a cosa accadrebbe, se li’ in mezzo, in quel carnaio sudato, ci fosse un uomo con una cintura esplosiva sotto la maglietta. Non vorresti, ma ti guardi intorno, e istintivamente cerchi un pilastro, un muro, un posto nel quale sentirsi meno inerme. E’ questa la vittoria silenziosa dei terroristi, credo: costringerci a pensare alla morte in un luogo dove chi ci passa va a trovare parenti, va in vacanza, viaggia per lavoro. Tutte cose gradevoli, e sensate. Pensare alla morte non lo e’. Poi arriva il tuo turno, e non ci pensi piu’.
Inoltre: io ho sempre avuto una certa resistenza ad affrontare il volo aereo. Se mi e’ possibile evitarlo, lo evito. Ma da molti anni non posso piu’ evitarlo, e sono tratte lunghe, su bestioni da 350 passeggeri con file da 10 posti. Vorrei rassicurare i volofobici come me: a volare tanto, la paura svanisce. Nel volo interno per la mia destinazione, sfiancata dal volo precedente, dalle code, dai controlli, dalle attese, dal jet lag, ho dormito come un sasso perfino durante il decollo.