BY DINO DE ANGELIS
C’era un ragazzo che aveva il nome napoletano e il cognome di un fiore.
È nato qui, è vissuto qui, ha fatto la sua sfortunata vita in un luogo a metà tra la provincia e il sogno. Un luogo che, come tanti di questo paese, spesso è distratto dalle grandi problematiche e si dimentica delle condizioni dei suoi figli, salvo ricordarsene quando è troppo tardi: o sono emigrati altrove oppure se ne sono andati troppo presto.
Questo ragazzo qualche volta mi ha fatto venire in mente il protagonista di un film che non ho mai dimenticato: Un uomo da marciapiede. Ma non l’attore bello che per vivere faceva il gigolò, interpretato dall’esordiente John Voight , bensì quell’altro un po’ più sfortunato, piuttosto malandato, che parlava in dialetto ed era sempre malato, che nel film si chiamava Enrico Salvatore Rizzo ma il cui soprannome era Sozzo, interpretato da un già meraviglioso Dustin Hoffman. Ci sono molte cose che mi fanno pensare a questo nostro amico in relazione a quel personaggio. Il nostro amico aveva anche lui un particolare modo di camminare, un’andatura che la riconoscevi prima ancora di vederne il viso. Ed ecco la cosa meravigliosa che solo la musica può regalare: quando Gennaro cantava, spariva quell’accenno di balbuzie che ogni tanto aveva, ed era in grado di tirare giù un tipo di musica che non lo so se l’abbia coniata lui, ma era una via di mezzo tra la canzone tradizionale, il rap ed il blues. Insomma era capace di cantare canzoni di Michele di Potenza però arrangiate a volte in stile rap e a volte con lo stile del delta del Mississippi. Io non ho mai sentito una cosa del genere.
Facile dire: talento, dopo che uno se n’è andato. Facile rivalutare le persone dopo che ci hanno salutato. E questo nostro amico se n’è andato veramente troppo presto, e a molti di noi ci ha anche lasciato un po’ di sorpresa, e un sacco di tristezza. Lo vedevamo gironzolare per strada con il suo immancabile cane, Zack, che gli ha preparato la strada del lungo cammino. A volte qualcuno di noi ha anche avuto la fortuna di sentirlo cantare, e c’era una cosa che, al di là del talento, al di là della musica che usciva dalle sue corde vocali, ci colpiva tutti: quella maledetta allegria che aveva sempre, quell’aria scanzonata che sembrava che ti prendeva sempre un po’ per il culo. Ma siccome aveva il nome napoletano e il cognome di un fiore gliela perdonavamo sempre e ci concentravamo su quel sound un pò improbabile, ma sempre originale, gradevole e soprattutto, fortemente improntato alla tradizione potentina.
Si era scelto quel nome d’arte per sottolineare la cosa che aveva nelle vene oltre al sangue: la musica. E così quel cognome di un fiore che era un tulipano, per lui era diventata Tulyrap, sì con la y, perché così sapeva anche un po’ di esotico.
Ed era chiaro che era simpatico a tutti e tutti gli volevano bene. Se andate a visitare ancora oggi il suo profilo, ci trovate un sacco, ma proprio un sacco di belle cose, di saluti e di tristezza per l’uscita di scena troppo anticipata. Ma c’è una cosa che mi ha colpito più delle altre. Spesso chi mostra allegria e simpatia con la gente, è piuttosto triste quando si trova da solo. E quel link che ha condiviso qualche giorno prima che si incamminasse via, un link scherzoso, ma insomma tutti noi se mettiamo lì qualcosa, allora vuol dire che un po’ di verità la troviamo. E quel link diceva così: “Parlare da soli riduce del 50% la possibilità di sentire cazzate”. Ne avrai dette e sentite tante, caro Gennaro. Ma adesso di parlare da solo lo potrai fare quanto vuoi, ma le cazzate, quelle non buttarle via, portatele con te e raccontale al tuo Zack e a quelli che ci troverai lungo quei viali. Boh, non lo so se saranno viali, ma mi piace pensare che, a metà strada tra la provincia e il sogno, ci sia anche lassù un viale dove si può camminare, sparare cazzate e cantare Michele di Potenza, rap e blues mischiati assieme.
Buone passeggiate.