Virus e scrittura della pandemia nella Strout

0

                        

Un romanzo sul tempo del Covid in Usa

            di Antonio Lotierzo

Ve ne saranno romanzi che narreranno il tempo del Covid! Ho letto questo perché era della Strout, la scrittrice che mi aveva incantato e irretito con la sua Olive Kitteridge. Certo non siamo nello stesso vortice di coinvolgimento ma la storia si fa leggere, scorre, veniamo a conoscenza, sfogliando i petali di una rosa, della variegata umanità di una famiglia americana che, dal marzo 2020, decide di spostarsi da New York alle coste del Maine.  È William che, in quanto scienziato e primo marito della voce narrante, avverte tutti dell’arrivo e dei pericoli della pandemia, che spinge i suoi a rifugiarsi davanti al mare, in una casa in affitto nel Maine, in cui non saranno affatto bene accolti, essendo la provincia molto irritata con i mestatori metropolitani.  La protagonista Lucy e scrittrice abbandona l’idea di pubblicizzare in tour il suo romanzo e segue, lei che è divenuta vedova del secondo marito David, il primo coniuge, segnalando la cosa ai figli, le cui separate vicende vengono illustrate con dovizia, in una trama sempre scorrevole e che fa molto uso delle prolessi per tenerci inchiodati in una vicenda che di pe sé implica staticità, una quotidianità dilatata e ripetitiva del tempo pandemico, che rifà i vestiti della vita. Il covid, i primi morti, le proibizioni dei funerali e di ogni incontro pubblico, gli amici morti appresi da una furibonda telefonata, le fughe, i distanziamenti, l’invito continuo a lavarsi le mani, l’iniziale assenza di cure, il lavoro da casa, la distanza di sicurezza, l’ostilità dei paurosi stanziali che vedono gli urbani come contaminati, la sospensione della conoscenza circa gli accadimenti, le mascherine, i guanti, le quarantene,  le chiusure dei teatri, dei cinema e luoghi d’incontro, poi – molto poi – i vaccini. Ma poi la Strout introduce momenti di pausa: i narcisi e gli alberi in fiore nel sole tiepido; la magnificenza dell’oceano grigio piombo; le scogliere grigio scuro con sempreverdi e l’aria, così tanto cielo e qualche barca nella baia e due isolotti più lontani. Lo sentite il salmastro pungente nell’aria? Avvertite la pace solenne di chi sta seduto in panchina e guarda le barche per la pesca di aragoste ed i gabbiani che stridevano calando in picchiata sui moli. E poi l’adattamento a trovarsi in casa d’altri; e le passeggiate, insieme e separati, in cui riaffiorano ricordi di un’infanzia devastata dalle privazioni. William invita ad accettare il lockdown! In Lucy cresce la tristezza; usa i sonniferi; rimugina le città spettrali visionate in tv nel telegiornale della sera e  New York appariva bella, con la natura che si riprendeva il suo spazio mentre morivano tante persone. Ma la gente imparava a sopportare le cose; anche i camion frigorifero con decine di persone morte, come le segnala la figlia Becka che con Trey lavorava da casa. Molto nel romanzo è sul tema madre-figlia o sulla povertà ed i confini di classe che i nostri civili paesi non riescono a superare (stesso tema del romanzo di Lucy).

                    

 Poi la Strout s’inventa una modalità di cancellazione del lutto: lei, che soffre ancora molto in privato per la morte di David, gli si rivolge invitandolo a venirle in sogno, perché solo in questo modo potrà superare la fase naturale del lutto. David, scrive “non l’avevo mai sognato e ormai era morto da quasi un anno e mezzo. Tutte le altre persone morte che avevo conosciute le avevo sognate, spesso anche più volte, e sempre nel giro di un mese dalla loro morte. Il sogno è sempre lo stesso, hanno fretta di tornare alla terra-de-morti, ma vogliono sapere se sto bene, oppure capita che abbiano un messaggio da far arrivare a qualcuno” (p.41). I sogni diventavano una consolazione, se affiorava il caro estinto ad intrattenersi pur con breve linguaggio.  Sono espedienti che smuovono la narrazione. Un’altra tecnica della Strout è di aver diviso l’io con l’immagine della madre, per cui, a volte, fa comparire le riflessioni di una ‘madre buona’, di sé a sé stessa. E infatti : “ Mamma (…)mamma, io non cela faccio! E la madre buona che mi ero inventata diceva, Stai andando benissimo, tesoro. Ma Mamma, io odio questa situazione! E lei diceva, Lo so tesoro. Devi solo tenere duro, vedrai che finirà. Ma non sembrava avesse intenzione di finire.”(p.44) Consiglio di scrittura: osservate come la Strout risolve il dialogo ed attenzione alla punteggiatura, che lascia scorrere il parlato, senza più riportare, come un tempo, le virgolette ed il resto.  Più avanti è di nuovo la famiglia a costituire motivo di racconto: le urla disperate della figlia Becka alla scoperta di una relazione esterna del marito Trey. Urla disperate ma anche cariche di umiliazione, con in più l’arrivo dell’odio, il desiderio di sfasciare tutto e i consigli del padre che, rinvangando una sua simile esperienza, le dice che se lo farà, anche lei entrerà nel ‘club dei testadicazzo’, perché nulla è più maturo del perdono, della accettazione con forza del peso del male che circuisce le nostre esistenze. Non sono le cose cattive che ci capitano a determinarci ma è il modo in cui sappiamo reagire agli eventi negativi e imponderabili.  Nel libro secondo, il romanzo si piega alla cronaca, alle immagini che ricordiamo tutti: l’agente di polizia che, rimanendo con il ginocchio sul collo di un nero, uccide George Floyd, a Minneapolis. Il razzismo era riesploso con la pandemia?  Una rabbia sociale s’espandeva, era colpa della pandemia? Lucy, sdraiata sul divano, impara ad ascoltare musica classica e si rilassa: “ Per la prima volta sono riuscita a sentirmi come su una nuvola soffice e quasi dorata, e sono rimasta immobile per paura che la sensazione svanisse. Ho pensato: STO LASCIANDO ANDARE! Ci stavo riuscendo, ed era straordinario! “(p.93) Poi si ha desiderio di relazionalità e si conoscono altre persone; si scopre la valenza sociale della religione evangelica; poi un personaggio abortisce; poi due fratelli si reincontrano dopo decenni; si scopre il disagio sociale: il punto di vista (che va a destra politica) di quanti fanno una vita difficile, della gente che ha guai seri e di chi non ne ha e non capisce. In più, la gente che ha guai seri la facciamo sentire stupida. Non va affatto bene. (p.128) Il mondo appare nei guai; è come attraversato da una convulsione; ci stiamo facendo a pezzi. Per quanto potrà ancora funzionare la nostra DEMOCRAZIA (?)(p.131). Affiorano battute di Čechov del Gabbiano : Porto il lutto della mia vita. E il lettore trova la domanda: Cosa ha fatto di me una scrittrice? Risposta: ‘ quel continuo, profondo desiderio di sapere che cosa si prova a essere una persona diversa’. Come ci si sente in altri panni. Sembra che le molecole si scambino tra di loro.  Davvero la Strout ritiene che i suoi libri aiutino a gente, beata lei; poi si corregge ‘ ma ad essere sincera, non ho la minima sensazione che lo facciano’(p178). Brava. Vi sono due pagine dedicate all’assalto trumpiano al Campidoglio del sei gennaio e afferma che troppo spesso giriamo la testa da un’altra parte e lasciamo scorrere, per vedere quando si raggiungerà il fondo! E rinvanga le umiliazioni subite da bambina e le angosce della vita in college. Sentimenti di cui sono pervasi i nazisti ed i razzisti. Abbiamo tutti bisogno di contare qualcosa. E i giovani devono guidare loro il furgone della storia. Noi anziani dobbiamo imparare a gestire i lutti. Nel frattempo, ci consoliamo con gli striscioni, che durate il covid, annunziavano: ANDRA’ TUTTO BENE.

Condividi

Sull' Autore

Nato a Marsico Nuovo in provincia di Potenza, dal 1976 risiede a Napoli, pensionato. Pubblica nel 1977 la sua prima raccolta di poesie, Il rovescio della pelle, in cui descrive il mondo rurale contemporaneo del Sud Italia col linguaggio del dadaismo e della neoavanguardia. Il suo stile poetico include elementi dell'ermetismo di Leonardo Sinisgalli e dell'uso creativo del dialetto di Albino Pierro, con influenze abbastanza evidenti di Montale, Attilio Bertolucci e Pascoli. Dopo la seconda raccolta di poesie Moritoio marginale (1979), si dedica allo studio della storia contemporanea e all'antropologia positivistica, pubblicando saggi in entrambi i settori e partecipando a concorsi universitari. Nello stesso periodo cura la prima pubblicazione delle opere del folklorista Michele Gerardo Pasquarelli (1876-1923), e traduce I canti popolari di Spinoso. Fra le opere storiografiche pubblicate da Loturzo figurano monografie su Spinoso, San Martino d'Agri e Marsicovetere; su Marsico Nuovo pubblica invece un volume di toponomastica.[1] Nel 1978 fonda la rivista Nodi, di cultura progressista oltre che letteraria, pubblicata fino al 1985. Nel 1992 vince il Premio Alfonso Gatto a Salerno con la poesia Rosa agostana.[2] Nel 1994 vince il Premio Internazionale Eugenio Montale, sezione inediti, prestigioso riconoscimento del Centro Montale presieduto da Maria Luisa Spaziani, con Materia e altri ricordi.[3] Nel 1996 vince, all'interno del Premio Pierro a Tursi, il premio per il miglior componimento in un dialetto di area lucana con la poesia Agri (Ahere). Loturzo ha curato le antologie Poeti di Basilicata con Raffaele Nigro[4] e Dialect Poetry of Southern Italy con Luigi Bonaffini.[5] Nel 2001 l'editore Dante & Descartes di Napoli ha pubblicato tutte le sue poesie in Poesie 1977-2001.[6] Dirigente scolastico di vari licei (Cassano all'Ionio, Torre del Greco, Napoli piazza Cavour e Napoli Mergellina), è in quiescenza dal 2014; l'ambasciata di Francia gli ha concesso l'onorificenza dell'Ordine delle Palme Accademiche, col titolo di Chevalier, n.38/Roma/12 febb, 2014.

Rispondi